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Per sfuggire alla rete del mondo che si chiude su di te, c’è una Via.
Non farti intrappolare dai problemi, non ti preoccupare, non ti abbattere, non ti deprimere, non infilarti nella nassa del sistema dei potenti, non ascoltare la voce di chi finge di essere un profeta e non seguire il richiamo di chi ti fa credere di essere un pastore, ma se veramente vuoi nuotare nel mare della vita, tu sai che c’è una Via.
Per sfuggire alla rete del mondo che si chiude su di te, c’è una Via.
Non abboccare a quelli che dicono “Ci sarà pace, se fai come dico io.”, non seguire gli idoli, non ti prostrare di fronte alle immagini della televisione perché parlano della farina del diavolo, non deviare e non farti imprigionare dall’accidia, non cedere alle esche della destra e della sinistra, perché non sarà la politica degli uomini a salvarti, non ti far mettere all’angolo dall’orgoglio, non confidare nella quantità dei soldi, delle macchine e delle case che possiedi, ma se veramente vuoi stare in pace anche nel mezzo della tempesta, tu sai che c’è una Via.
Per sfuggire alla rete del mondo che si chiude su di te, c’è una Via.
Non soccombere alla ragnatela della rabbia, non sottometterti alla lussuria del corpo e della carne, non domandare il futuro alle statue che non ti possono rispondere, non fidarti delle carte o degli indovini, poiché tessono la loro tela per sfamarsi ma, se sapessero, salverebbero prima se stessi, non chiedere al passato perché ha già dato e non tornerà, ma se veramente vuoi volare nel cielo della speranza, tu sai che c’è una Via.
Per sfuggire alla rete del mondo che si chiude su di te, c’è una Via.
Che ti fa scampare al bertuello che il mondo ti chiude addosso, che ti porta alla salvezza, senza curve, dove non c’è esca per farti illudere, dove non c’è ragno che ti assale; godi la compagnia degli amici e di chi ti ama, cammina un passo per volta, seguendo la Via dell’Amore; perché c’è una luce, là in fondo, al di là delle tenebre del mondo, dove ti aspetta la Casa del Padre, per fare festa con il vitello: sei atteso e non vedono l’ora che tu possa giungervi.
Per sfuggire alla rete del mondo che si chiude su di te, c’è una Via.
E tu la devi percorrere.
No, Agente, il “limite” non l’avevo visto. Cosa fa? Mi toglie anche i punti sulla patente?
massimolegnani ha detto:
la narrazione è fluida, non fa rimpiangere l’assenza di aggettivi (incredibilmente non la si nota, che gli aggettivi a noi così cari siano davvero superflui?), mantiene per tutto il brano una buona tensione. Peccato che il finale sia fiacco, poco congruo con l’aspettativa del lettore sulla “via” suggerita. Forse sarebbe bastato che il protagonista, anzichè incappare in un limite di velocità avesse infilato “via Gramsci” in direzione vietata, riprendendo il tema del testo sulla via da seguire e anche la “risposta sbagliata” del titolo.
ml
mirimettoingioco ha detto:
Hai ragione: il finale era proprio quello. Però mi sono dovuto arrendere al senso *unico*, alla direzione *vietata*, al semaforo *rosso*…
miscarparo70 ha detto:
Un pezzo che richiama, fin dal titolo, “Quelo” di Guzzanti. Però, appunto, è un monologo, non un racconto. E ha ragione ml: il finale è debole. Ci vorrebbe la forza recitativa di Guzzanti, forse, per rianimarlo 🙂
mirimettoingioco ha detto:
Proprio Guzzanti! Per avere un finale buono, ci vorrebbe qualcuno che si intenda di teatro: sai chi chiamare? 🙂
ggianluigi ha detto:
È veramente sorprendente come per caso, si scopre a volte come si possa fare a meno di alcune cose e non sentirne poi minimamente il bisogno, tipo avverbi, mogli ecc.
In realtà il problema avverbi non me lo era mai posto prima, in altri contesti, qualcosa l’avevo intuita.
Sono d’accordo con massimolegnani quando dice che nel finale “divieto” sarebbe stato più consono di “limite”. I termini scelti, sempre importanti, nei componimenti brevi diventano fondamentali e bisogna stare attentissimi. Il Limite, in questo caso, richiamato solo alla fine, mi aveva indotto a pensare che mi fosse sfuggita qualcosa nel corso della lettura. Invece no, il concetto è semplice e chiaro, funziona bene. Una piccola sostituzione però limite/divieto, che ti costa? Fammi contento. 😁
Comunque è un bel monologo. Veramente potresti pensare a un arrangiamento teatrale.
Torno sugli avverbi per dire che l’esperimento (di levarli di mezzo) ti è riuscito tanto bene da farmi pensare che in fondo non è difficile come sembra. Sarebbe interessante in futuro esercitarsi (tutti noi) sulla riscrittura di un brano famoso per rielaborarlo “purgato” dagli aggettivi. Ovviamente non limitandosi semplicemente a cassarli.
miscarparo70 ha detto:
Scrivendo questo pezzo mi sono reso conto che l’aggettivo in prosa è come la panna o il burro in una ricetta: facile da usare, dà un buon sapore, ma copre qualsiasi altro gusto. È stato istruttivo farne a meno.
Per il finale avete ragione: mi son fatto prendere dalla fobia degli aggettivi. L’avrò cambiato venti volte, poi l’ho maledetto e l’ho inviato così com’era.
La cucina senza grassi sarà anche sana, ma non sempre è gustosa.
mirimettoingioco ha detto:
sticazzi! (si può dire?)
mirimettoingioco ha detto:
Hai proprio ragione: certe cose andrebbero fatte senza distrazioni. Niente gatti, aggettivi, mogli, varie ed eventuali. 🙂
ggianluigi ha detto:
Heheeh ecco svelato il primo autore ignoto. No cancella “ignoto” . Distratto, nooo cancella distratto. Il primo autore…che si è distrattamente svelato. Così funziona mi pare.
PS sticazzi Si può dire e anzi a volta si DEVE dire!
mirimettoingioco ha detto:
Inutile cercare di imitare le mogli e fare più cose in contemporanea: dovrei accettare i miei limiti di maschio e fare una cosa per volta, che è già anche troppo. 😦
mirimettoingioco ha detto:
macché ignoto… “pirla” andrà benissimo!
ggianluigi ha detto:
ovviamente volevo dire aggettivi, non avverbi.
Stefi ha detto:
Più che a “Quelo” mi viene da pensare ad un predicatore più dinamico, di quelli che radunano centinaia di persone sotto i tendoni da circo nelle lande desolate dell’America del nord. Uno di quelli che ti imbambolano con raffiche di parole a mitraglia e che alla fine ti fanno cantare Alleluia. Molto alto e denso il ritmo. Mi è piaciuto. Sul finale concordo con ml e gg.
mirimettoingioco ha detto:
Grazie 🙂
Sulla battuta finale, come ho detto, mi spuntavano aggettivi da tutte le parti e mi sono “afflosciato” senza rimedio, a caccia di un qualche bizantinismo che mi salvasse. Ma non l’ho trovato.
tempodiverso ha detto:
già da questo primo racconto resto meravigliata da come non si senta affatto la mancanza degli aggettivi, il brano funziona, e procede con un passo dimamico. non è un vero e proprio racconto, ma ha mostrato come si possa scrivere bene senza eccedere con l’aggettivazione che spesso tutti usiamo anche in modo ridondante.
confesso che a prima lettura non avevo capito il finale a causa di quel “limite”, il “divieto” suggerito da gianluigi è la soluzione per tutti i puffi ‘tontoloni’ come me 🙂
mirimettoingioco ha detto:
Non è un racconto e il “senso unico”, che era la sua fine naturale, si è involuto fino a “limite” per colpa dell’aggettivo. In buona sostanza: non sono molto orgoglioso del risultato raggiunto, ma non sono riuscito a fare di meglio.
tempodiverso ha detto:
no, secondo me puoi esserne contento
e in fondo basta una piccola modifica
divieto di transito al posto di limite e tutto risulta chiaro.
scrittorucolo ha detto:
Molto ben scritto anke perkè nn si sente proprio ke manchino gli aggettivi! C’è 1 buon ritmo nel brano ke si perde alla fine 1 po’ troppo di colpo come se l’autore avesse scritto x gioco e il brano nn avesse 1 anima sua tipo 1 golem!!!
mirimettoingioco ha detto:
Che non si senta la mancanza di aggettivi è l’unico lato positivo; il pezzo non ha anima perché la battuta finale è strozzata e ha perso tutta la sua forza.
Jihan ha detto:
ammetto che ho dovuto superare un’iniziale diffidenza per tanto ascetismo mistico (sono d’accordo con stefy, la predica ce la becchiamo tutta). tanto più che la degna intenzione di negarlo completamente nel finale si è ammosciata come un soufflé tirato fuori dal forno prima del tempo.
ma mi sono ripresa presto, grazie all’ammirazione per una sfida così ben raccolta. obiettivamente: che ce ne facciamo degli aggettivi?
il brano – e peccato che non sia un racconto – si tiene su che è una bellezza, è ricco, evocativo, nonostante si esaurisca in una sfilza, una serie di elenchi, uno per ogni paragrafo. A pensarci bene, gli aggettivi hanno di buono che sono sintetici, una volta trovato quello giusto, l’unico, l’insostituibile. Farne a meno può voler dire dover utilizzare parole sovrannumerarie per esprimere un singolo concetto. Dopo l’esercizio doveroso del sottrarre di ogni buona scrittura, si rischia di restare con ben poco in mano.
Un’altra riflessione che mi viene dalle tue risposte ai commenti, Ai, è quel bisogno insopprimibile di liberarsi di quanto abbiamo scritto, soprattutto dopo un’affannosa ricerca che ci sembra vana. A prima vista, il primo brano pubblicato dovrebbe anche essere il primo arrivato – ma potrebbe anche non essere così -; dici di averlo maledetto e inviato così com’era. Ma, santa genoveffa, tenerselo sul desktop un paio di giorni in più, ignorarlo per un po’ e poi riprenderlo, no, eh? Eppure io sono sicura che l’avresti avuta vinta anche sull’ultimo aggettivo.
ji
mirimettoingioco ha detto:
L’ho tenuto sul desktop quasi una settimana, credo. E più ci mettevo le mani, più non mi piaceva. Meno mi piaceva e meno mi veniva in mente con cosa sostituirlo.
Il finale prevedeva un “senso unico” che aveva il suo senso, ma poi mi sono incartato. Mi rodeva che non fosse un racconto, ma farne uno senza aggettivi… Alla fine non ho trovato di meglio che consegnare.
Come mi dicevano una volta: ha le capacità, ma non si impegna.
ps: mai venuto, un sufflè. mi “floppano” anche le torte e, a volte, anche il pane. però, se vuoi un risotto, me la cavo alla grande 🙂
Jihan ha detto:
🙂 eccerto che lo voglio, se non altro perché sul risotto hai smesso di flagellarti, AC (autore chef)! E’ un bel brano, fidati. Questo è un laboratorio condiviso, non un compito in classe. Aspetto, a fine giro, di rileggerlo; non ci vuol niente a togliere il piccolo ostacolo in cui sei inciampato in chiusa.
mirimettoingioco ha detto:
Ma a me continua a non piacere 🙂
Comunque lo farò senz’altro: anche con la precedente tornata ho pubblicato il pezzo da me, e poi abbiamo fatto a gara tra tutti a smontarlo, rimontarlo e migliorarlo. Ognuno mettendoci i propri 2 cent.
Un’esperienza molto bella, che ripeterò 🙂
Jihan ha detto:
ps. al prossimo giro: brano libero e commenti senza aggettivi.
è i m p o s s i b i l e.
Andrea ha detto:
Be’ innanzitutto complimenti all’Autore Noto 🙂 per essere riuscito nell’impresa di scrivere un brano di ben 2282 caratteri senza un solo aggettivo qualificativo. Come dicono anche gli altri commentatori, di aggettivi qui non se ne sente proprio la mancanza, forse anche per il fatto che il testo non contiene descrizioni (paesaggi, persone…). Però devo confessare che non ho capito il collegamento tra la prima, più corposa parte del brano (il sermone) e la conclusione (da “No, Agente” fino alla fine): che cosa volevi rappresentare? Una riflessione interiore del protagonista interrotta bruscamente dalla paletta di un vigile urbano? O forse il sermone è semplicemente un programma radiofonico in onda mentre il nostro protagonista viene fermato dalla stradale?
mirimettoingioco ha detto:
All’AP (Autore Pirla), volevi dire… 🙂
Il collegamento salta per la scelta scellerata della parola “limite”. Questo avrebbe voluto essere un sermone alla “Quelo”: un finto sermone di un predicatore da due soldi, che ti indica la Via, ma ti fa finire dentro un vicolo cieco (dandotene la colpa). Come dice il titolo: la risposta è dentro di te (e però è sbagliata).
Non so se mi sono spiegato, però io mi sono capito 😉
Andrea ha detto:
Ti sei spiegato AS (Autore Simpatico) 😄
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