Luigino Occhipinti aprì la porta quel tanto che bastava a permettere al suo corpo smilzo di passare tra l’anta e lo stipite. Nonostante questa accortezza il vento gelido di tramontana invase la piccola farmacia, l’unica in tutto il paese di Torregrossa e il solo esercizio ad essere ancora aperto in quella serata da lupi.l titolare, Dott. Gaspare Savoca lo guardò al di sopra delle strette lenti da presbite, scosse la testa agitando dal basso in alto la mano chiusa a carciofo, a mo’ di domanda.
<<Gino, ma dove vai con questo tempaccio, stai male?>>
Gino era il barbiere del paese, aveva circa quarant’anni, un’alta statura, una bella voce da tenore che esercitava ogni giovedì nel coro e quell’aspetto distinto che, tra gli artigiani di un piccolo borgo, solo i barbieri possiedono: mani curate, modi garbati, conversazione amabile.
Sotto le sue forbici erano transitate tutte le teste del paese. Mentre mulinava con maestria i ferri del mestiere, canticchiando le sue arie preferite, le sue orecchie stavano sempre bene aperte: non c’era avvenimento realmente accaduto o un fatto semplicemente sospettato che lui non conoscesse; dall’orario in cui si aprivano le imposte della signora Ines al numero di volte che l’avvocato Catalano entrava nella pasticceria sotto casa. Dai voti della pagella del figlio del fabbro alle accuse che il gelosissimo capostazione lanciava alla moglie.
Ma la sua non era sterile curiosità, e meno che mai si trasformava in indiscrezione.
Gli serviva solo a capire che nessuna esistenza è perfetta o completa, e che nessuna cosa è assolutamente necessaria.
Luigino era quel che si dice un uomo di mondo. Non perché avesse viaggiato, ma perché era stato il mondo a venire da lui.
Gente di ogni età e di ogni ceto si ritrovava giornalmente nel suo negozio non solo per quello che prometteva l’insegna, ma per il piacere del rito: sedersi sulla poltrona per farsi radere e coccolare con il panno caldo sugli occhi, con il massaggio sul viso e, soprattutto, per chiacchierare.
La gente parlava, parlava e parlava e lui era l’adeguata controparte per chi amava raccontarsi: lui sapeva ascoltare.
Dopo essersi seduti sulla poltrona girevole, i clienti iniziavano a rivelare se stessi raccontando del lavoro, di politica, della loro vita privata.
Ed ecco che Gino incominciava a entrargli sotto la pelle, come un tarlo invisibile rosicchiava tutti gli ostacoli, ossa, tendini, per arrivare a quel nodo di cellule che comanda l’ira, il riso, il tremito della parola, lo sgorgare delle lacrime, e mentre la mano percorreva quel viso con la lama affilata del rasoio, riusciva, al pari di un grande attore, ad appropriarsi dei gesti dell’uomo e dei suoi sentimenti, della sua voce.
Vedeva sbiadire la macchia scura che aveva sul pollice e la sua mano invece di stringere le forbici si chiudeva sul manico di una valigetta da lavoro, che diveniva sempre più pesante. Vedeva la porta di casa aprirsi e la donna infastidita dal suo rientro in anticipo, i figli distratti e sentiva una morsa stringergli lo stomaco, le spalle ingobbirsi e curvare in basso trascinando a terra il suo umore.
La voce continuava.
<< E allora mi consolo dicendomi che i figli non mi danno grattacapi e che mia moglie è una brava donna. Mi faccio una doccia, mi cambio ed esco di nuovo, eh sì! Caro Gino, fuori, la vita ricomincia là fuori, un giro al bar, gli amici, qualche amica…>>
E Gino a sentire queste affermazioni piene di ottimismo si ringalluzziva, rialzava le spalle, spingeva il petto in fuori, le pieghe delle labbra in su e dopo un po’ rivedeva il suo neo che era tornato lì, al suo posto a rassicurarlo, dandogli la certezza di trovarsi dentro la pelle giusta. Lo sconfinamento nella pelle dell’altro era finita.
C’erano volte che diventava brioso al pari del cliente, conversava in modo leggero e divertente. Altre volte assentiva soltanto, in modo enigmatico, con qualche borbottio. Ripercorreva nella sua mente i fatti che gli erano stati narrati come se li stesse realmente vivendo, provando emozioni di allegria, di dolore o angoscia.
Non voleva la vita degli altri. Entrava nella pelle altrui solo per poter ritornare dentro la propria e
in tutte le occasioni riusciva a vedere i fatti da una prospettiva diversa dalla sua.
Ma per potere viaggiare a piacimento, Gino aveva bisogno di conoscere tutta la storia. Invece di quell’ultima non sapeva l’epilogo, non poteva rivivere interamente la vicenda e non poteva nemmeno liberarsene, si sentiva prigioniero in un vestito non suo, che gli stava cucito stretto.
“Quella storia”, lasciata incompleta dal cliente di turno lo stava torturando.
Erano esattamente due settimane che rincorreva il farmacista e un altro paio di clienti per farsi dire il finale, ma niente, non si era mai presentata l’occasione adatta: una volta perché avevano fretta, un’altra perché orecchie indiscrete avrebbero potuto udire.
Per questo si era recato in farmacia subito dopo l’orario di chiusura.
<<Dottore, c’eravate anche voi nel salone e avrete di certo ascoltato. Si parlava di una donna che ogni giovedì pomeriggio suona il campanello del professorino del ginnasio, poi sono dovuto andare nel retrobottega a prendere gli asciugamani puliti e mi sono perso il resto.>>
Gino si stupì che il dottore si affaccendasse alacremente a impilare, senza nemmeno leggerle, carte e ricette che stavano già in ordine sul bancone. Non lo guardava negli occhi e questo fatto gli fece calare un sipario nero sul cuore: c’era qualcosa che non voleva dirgli. Perché tacere proprio a lui?
Ma Gino era uomo di mondo dopotutto, e come tale facilmente si spiegò la strana reticenza del farmacista e degli altri che aveva interpellato.
Salutò l’uomo dietro il bancone ed uscì nel buio della sera. Non andò a casa per il solito percorso, aveva bisogno di prendere tempo, di pensare. Aveva sempre immaginato gli stati d’animo e le reazioni degli altri, ora doveva immaginare le sue, costruire i gesti del suo personaggio, prevedere tutte le sue azioni, rivivere l’incredulità, poi la rabbia cieca, l’odio e poi, ma alla fine, la comprensione e l’indulgenza.
Non era altro che uno degli attori dello spettacolo, uno dei tanti sul palcoscenico.
malosmannaja ha detto:
gran bello spettacolo. attori o meno, si legge d’un fiato e vive d’una umanità tridimensionale… ma a quest’ora sono cotto: torno domani con calma.
tempodiverso ha detto:
maloscotto?
preferiscoti al dente 🙂
contenta di vederti qui
tempodiverso ha detto:
avere un altro punto di vista, il rapporto con gli altri, l’empatia per l’altrui situazione che risulta strettamente legata alla capacità di analizzare se stessi. tematica pirandelliana alla quale si adegua anche lo stile della scrittura, ma proprio tematica e stile danno l’impressione del già visto e forse rappresentano il limite di questo racconto per altri versi godibile.
mirimettoingioco ha detto:
si, empatia e autoanalisi, per il resto hai ragione.
mirimettoingioco ha detto:
grazie, malosmannaja, mi fa piacere ti abbia dato la sensazione del 3D
ggianluigi ha detto:
Tra le cose che preferisco del tuo testo, c’è la parte in cui l’indagine di Gino si insinua metaforicamente sotto la pelle del cliente (bella l’invenzione anche sotto il profilo del rovesciamento del tema dato: “sulla pelle/sotto la pelle” ) per arrivare al suo centro nevralgico, mentre la mano ne percorre il viso col rasoio in mano. Mi piace questo parallelismo/continuità interno esterno.
La bottega di barbiere come centro del mondo è un altro tipico spunto diciamo così filosofico, che hai ben tracciato. Gino non ha bisogno di girare il mondo perché è il mondo che va da lui.
…Continuo a ruota libera 🙂 Quello di Gino è quasi un percorso interiore di auto consapevolezza. Mi verrebbe da dire che a forza di entrare nella pelle degli altri, in un certo senso Gino è diventato esso stesso un “altro, inizialmente estraneo a se stesso, sconcertato dallo scontro diretto con la realtà. Insomma mi è piaciuta l’evoluzione del personaggio, malgrado alcune debolezze della trama. Fra le cose che non ho capito (per quanto in fondo non sia rilevante), mi chiedo: Gino è stato tradito dalla moglie? In questa circostanza ha appreso di essere anch’egli un attore del palcoscenico?
Infine una curiosità: ho riletto ripetutamente il brano senza riuscire a capire cos’è la “macchi scura” che Gino vede sbiadire sul suo pollice.
mirimettoingioco ha detto:
grazie, Gianluigi, che Gino sia stato tradito viene lasciato intendere, il riferimento agli eventi del giovedì è un indizio che porta a tale conclusione sia Gino che il lettore. gino forse lo crede ed ecco che, così come era abituato a calarsi nei piccoli drammi degli altri, esamina se stesso come se fosse un altro, prendendo le distanze, ma così facendo forse riuscirà a guardarsi in maniera obiettiva, senza sconti.
per la macchia incomprensibile, hai ragione. si tratta di un neo sulla mano, lo cito successivamente, ma avrei dovuto invertire prima chiamarlo neo e dopo farlo diventare generica macchia. l’ho usato come un segno distintivo che aiuti il protagonista a capire subito in quale identità si trova in quel momento, un piano ravvicinato sul dettaglio alla maniera di Tarantino.
malosmannaja ha detto:
ordunque, bello che il racconto si apra insieme alla porta e appaia luigino occhipinti: l’entrata in scena del protagonista m’è parsa teatrale al punto giusto (in linea col “palcoscenico” che chiuderà il suo cerchio), nonché paradigmatica del vano affaccendarsi degli esseri umani nell’utopia di poter controllare il futuro e le conseguenze delle proprie azioni. se “nonostante questa accortezza” gino non riesce a contenere l’invasione del vento gelido, qualcosa vorrà dire…
: )
a ruota, dopo un primo giro di presentazioni, arriva il nucleo polposo del racconto, una minima digressione filosofica buttata lì con nonchalance – (“nessuna esistenza è perfetta o completa, e nessuna cosa è assolutamente necessaria”) – che ibrida atmosfere pirandelliane (come già notava tempodiverso) con un passo narrativo cechoviano (il sorriso asciutto, la pazienza, il gioco delle parti, gli accenti smorzati). difatti nello sviluppo della trama, in buona sintonia con cechov, più che il dramma, i toni accesi o il ricorso ad “effetti speciali”, ciò che “muove” il racconto è il fluire naturale e inesorabile degli eventi.
cheddire ancora? che *galeotto* fu il giovedì (mentre gino esercita la voce da tenore nel coro, la moglie suona il campanello del professorino del ginnasio) e che luigino aveva grandi capacità di immedesimazione, “sapeva ascoltare”, “entrare sotto la pelle” dei *clienti*, ma evidentemente non ha saputo/voluto ascoltare *sua moglie*!! triste e beffardo, no? e il fatto che nel finale gino si prenda tempo per pensare e immaginare se stesso (“costruire i gesti del suo personaggio”) e non per percorrere il viso della moglie “con la lama affilata del rasoio” (ehm…) “appropriandosi dei gesti, dei sentimenti, e della voce” della sua compagna di vita, è beffardamente emblematico.
: )
alla fine, sarà vera *comprensione*? chissà…
ehm, da ciò propenderei per dedurre che l’autore è un uomo (ma sarebbe bellissimo che mi sbagliassi)
: ))))
orpolà, anche stasera s’è fatto tardi. domani magari torno per le parti che invece mi hanno meno convinto.
mirimettoingioco ha detto:
Grazie, malosmannaja, per l’accuratissima analisi, alcune cose erano intenzionali come il gioco delle parti e la preferenza per i piccoli drammi di tutti i giorni che secondo me stava bene con l’atmosfera di provincia, anzi da villaggio in cui si svolge la vicenda. altri elementi da te citati forse li ho messi lì in modo inconsapevole e il tuo commento li valorizza e rende molto di più del racconto 🙂 grazie
‘sarà vera comprensione?’ non si sa. talvolta non è importante che un evento sia accaduto realmente, ma importa quello che ha causato il fatto di averlo creduto possibile.
gino crede che la moglie lo abbia tradito
gino è abituato a entrare nella pelle degli altri, a immedesimarsi negli altri, nelle loro piccole miserie
gino sfrutta tutto questo per vedere la vita dal punto di vista della moglie e anche a entrare nella pelle di gino-tradito per riuscire a gestirne i sentimenti di rancore e di vendetta.
se hai tempo mi interessano molto i punti deboli.
massimolegnani ha detto:
“Gino incominciava a entrargli sotto la pelle, come un tarlo invisibile rosicchiava tutti gli ostacoli, ossa, tendini, per arrivare a quel nodo di cellule che comanda l’ira, il riso, il tremito della parola, lo sgorgare delle lacrime,” Questa mi sembra la frase chiave, sia per la poeticità che per il contenuto (oltre che per l’attinenza al tema): Gino non si limita ad ascoltare, Gino, per il tempo della chiacchiera, si immedesima totalmente nel cliente che racconta, si cala emotivamente nel personaggio, è lui l’intimo attore che di volta in volta interpreta il ruolo differente che gli viene suggerito. ho apprezzato il tono lieve e attento della narrazione. La parte meno gradita è stata quella conclusiva sia perchè non mi è sembrata “necessaria” nel racconto l’aggiunta di un tradimento personale di cui è vittima il barbiere, sia perchè trovo poco credibile che i clienti proprio nella sua bottega spettegolino sull’accaduto che lo riguarda.
ml
mirimettoingioco ha detto:
grazie , massimo, il presunto tradimento, che rappresenta l’evento drammatico, ha lo scopo di indurre il protagonista a considerarsi al pari degli altri personaggi e a spingerlo a entrarsi dentro, ad analizzarsi.
dici che non avrebbero spettegolato? non so, talvolta la gente è cattiva, o magari stavano sparlando del professore, poi si sono accorti che era inopportuno e hanno smesso.
però hai ragione, dovrei accennare a una di queste eventualità e rendere la scena più credibile.
malosmannaja ha detto:
ordunque, le cose che mi hanno meno convinto del racconto: l’attinenza al tema proposto “parole sulla pelle” mi è sembrata un po’ fragile; a differenza di personaggi e ambientazione, la storia in sé e per sé non scardina lo stereotipo del tradimento nella commedia all’italiana; dire prima “Luigino era quel che si dice un uomo di mondo” e dopo “Ma Gino era uomo di mondo dopotutto” suona ripetitivo; la costruzione della frase “rivivere l’incredulità, poi la rabbia cieca, l’odio e poi, ma alla fine, la comprensione e l’indulgenza”, col “poi” “e poi, ma alla fine” che appesantisce (forse “e poi, ma alla fine” potrebbe essere sostituito da un “e infine”).
mirimettoingioco ha detto:
pertinenti anche queste tue osservazioni, l’aderenza al tema c’è in quanto la proposta di scrittura, oltre al letterale parole sulla pelle, prevedeva anche parole o quel che si ha da dire riguardo la pelle, lasciando abbastanza liberi di sviluppare il tema. in questo caso ho seguito la suggestione della locuzione ‘mettersi nella pelle degli altri’.
la frase che indichi è veramente bruttina, hai ragione, con la successione dei poi e alla fine avrei voluto dilatare il tempo che è stato necessario alle riflessioni di Gino.
ma proverò a riscriverla
grazie ancora 🙂
libus ha detto:
Con un esercizio un po’ forzato, accostando questo racconto al precedente, così diverso, viene lo stesso da chiosare con un’osservazione analoga: tutti coinvolti nessuno escluso, nessuno immune. E così anche Gino – il sole fermo e luminoso, con i pianeti e le loro ombre a girare invariabilmente intorno a lui – si fa pianeta suo malgrado per una volta e gira intorno agli altri (il farmacista) per una frase che gli manca, per la lacuna di un’informazione che – lui lo sa bene – questa volta non può riguardare che lui.
Per me è un gran bel racconto, fluido, inciso con precisione e per la verità lo trovo plausibilissimo anche nell’approccio del discorso su di lui in sua presenza, quasi fosse una sorta di malizia, di sottile vendetta.
Bravissimo AI.
libus
mirimettoingioco ha detto:
grazie, libus, condivido la tua considerazione: siamo tutti coinvolti, nessuno escluso o immune. Le cose accadono e possono interessare chiunque. la capacità di immedesimarci negli altri forse ci può preparare ad accettare il fatto che noi stessi ci potremmo trovare al loro posto.