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– E poi… poi mi sento che mi manca il respiro, dottore.
– Non trovo niente nei polmoni, Roberto. E anche la pressione e il cuore sono a posto.
– E’ come un nodo qui, sulla gola: mi sembra che non entri l’aria.
– Anche la tiroide è a posto. Scenda dal lettino.
– Ma io mi sento…
Il medico taglia corto, preso dall’ansia della coda di pazienti oltre la porta. Mentre Roberto si riveste seguitando a lamentarsi, il cerusico riveste la voce di carta vetrata e stizzisce
– Roberto, glielo ripeto: non – ha – niente, ok? L’ho visitata da capo a piedi e non – ha – niente!
Il paziente sospira sconsolato: sa che non è vero, qualcosa ancora ce l’ha… per esempio, il monolocale in cui vive da solo da due anni. Il volto affilato fatica a mutare espressione a causa dei muscoli assottigliati per mancanza d’allenamento.
– Allora… forse sono io che trattengo il respiro.
Il medico squadra la maschera slavata di Roberto, pronto a scattare per il sospetto che nelle parole dell’uomo si nasconda una qualche volontà polemica, se non di scherno.
Pausa.
Niente.
Il dottore rincula a disagio, arretrando leggermente grazie alle ruote della sua imponente sedia in pelle nera. Infine concilia.
– Probabilmente è un po’ d’ansia. Le stampo una ricetta di Peranaper, 10 gocce mattina e sera l’aiuteranno a sciogliere la tensione.
Roberto ringrazia e saluta
***
– Ma sei sicuro di quello che dici?
Roberto è perplesso. Andrea arriccia il labbro, come a intendere di saperla lunga, poi rincara.
– Dovresti almeno prenderti un i-Phone con internet. Ormai sei fuori dal mondo.
– Ci ho pensato. Magari se mi capita un’offerta buona…
– Capisci? La menata del debito pubblico, della casta, delle Ruby, della corruzione sono un paravento costruito ad arte per nascondere, se non disinformare. Hai presente quando il dito indica la montagna e lo scemo guarda il dito?
Roberto sospira.
– Ehi! Grazie per avermi dato dello scemo! – si alza, tormentato dalla solita fame d’aria – …ti spiace se apro un poco la finestra?
– No problem. In realtà anche della situazione in Grecia non ci dicono nulla. Segnali di ripresa?!? Ma se nell’ultimo anno, l’ente statistico nazionale ELSTAT ha fatto sapere che sono andati persi altri 400000 mila posti di lavoro!
– Sono tanti?
– Fai tu. In Grecia ci sono 11 milioni di abitanti. Tolti bambini e anziani fa circa 7 milioni cittadini che potrebbero lavorare. Sai in quanti hanno un lavoro a fine 2013, grazie all’austerity dettata dalla Troika?
– Boh.
– Tre milioni e mezzo: la metà. Cioè, ti rendi conto? Il numero dei senza lavoro ha uguagliato quello dei lavoratori.
Roberto disegna forme geometriche nella polvere del tavolo. Andrea arresta il suo slancio comunicativo, abbassando il tono di voce.
– A cosa pensi?
Roberto esita, poi dice.
– A Sara.
***
Il cielo, oltre i finestroni in plexiglass opaco appare grigio.
All’ipermercato c’è tensione: carabinieri, grida e un folto capannello di gente attorno alla sezione acque minerali. Roberto si avvicina trascinandosi dietro il carrellino in plastica rossa sbiadita e chiede lumi a un ragazzo di vent’anni che scatta alcune foto con il cellulare.
– Ma cos’è successo?
– Niente, c’era l’offerta dell’acqua, sei bottiglie a quaranta centesimi. Non ha letto il volantino?
– …
– Hanno incominciato a spintonarsi e a picchiarsi. C’era un tipo, un marocchino, che voleva prendersi l’acqua pure lui e qualcuno non era d’accordo.
– Beh, noi italiani dovremmo avere la precedenza – concede Roberto.
Il grigio che filtra dalle vetrate rende ancor più mesta l’atmosfera da tempi bui di guerra tra poveri. Il ragazzo concorda e rincara.
– Mica è più come prima: adesso non ce n’è per tutti. Cosa cazzo vogliono ‘sti bingo bongo? Si sono pure fatti la ministra negra per fotterci meglio.
Roberto vorrebbe aggiungere ulteriori considerazioni a sostegno della tesi, ma lo sfiora il pensiero che Sara non sarebbe d’accordo, anzi, s’arrabbierebbe senz’appello. Così passa oltre, sentendo l’aria farsi più sottile.
Anche alle casse c’è fermento. Una signora coi capelli grigi discute animatamente con la vicina di coda.
– …e la colpa è tutta nostra! Siamo poco competitivi, abbiamo un debito pubblico alle stelle, troppi politici corrotti e troppi immigrati.
– Lo sa come ci chiamano? …i PIGS? – dà bordone l’interlocutrice più giovane, e vista la perplessità della consumatrice più anziana, si affretta a spiegare – una parola fatta con le iniziali dei paesi meno virtuosi, che in inglese vuol dire maiali.
Roberto si specchia nel pavimento lucido dell’ipermercato cercando oltre il cavallo dei pantaloni la classica coda a cavaturaccioli.
***
Andrea scuote il capo.
– Ma non è la “mia opinione”! I dati macroeconomici parlano da soli, a volerli leggere. Euro e austerità sono due facce della stessa medaglia: dobbiamo fare austerità perché c’è l’euro! Quindi nell’euro non c’è nessuna speranza di crescita…
– Ma se hanno detto anche ieri che la ripresa è vicina.
– Non hai notato che sono parecchi anni che ti dicono la stessa cosa?
– Sì, ma…
– Parole, parole, parole. Parole senza un minimo di riscontro nei fatti. Ormai siamo fatti di parole.
Sorridono entrambi, amaramente. Roberto si gratta il mento: darebbe una mano per avere una canna da fumarsi seduta stante. L’ultima volta, dev’essere stato oltre dieci anni fa. Andrea riannoda il filo del discorso.
– Solo parole, un mare di parole sulla pelle di noi comuni mortali, di noi che paghiamo con la nostra vita, coi nostri sogni, con il nostro lavoro. La finanza internazionale mercanteggia con le nostre vite: a fronte dei loro guadagni, noi siamo perdite marginali.
– Non mi intendo di finanza.
– E di speranza? E’questo il punto. Chi non sa che la crisi non è dovuta al debito pubblico, ma a quello privato, non ha speranza. Chi non sa che il reale obiettivo delle politiche di austerità è quello di venire incontro ai creditori esteri più che alle esigenze del paese, non ha speranza. Chi non sa che per recuperare competitività, se non si può aggiustare il cambio, devi distruggere il lavoro e la domanda interna, non ha speranza.
– Non capisco.
– Devi creare disoccupazione per imporre la flessibilità a lavoratori disperati, che pur di rientrare nel mercato del lavoro accettino salari più bassi e per questa via provi ad aumentare le esportazioni. Di più, ci sono dati pubblicati in tutta Europa che spiegano che la flessibilità del mercato del lavoro compromette la produttività del lavoro! Capisci? Chi ti dice il contrario, magari con tono fermo e rassicurante, o è ignorante o è in malafede!
– Lascia stare, Andrea. Non ti seguo. Non ci capisco un cazzo.
Roberto boccheggia. Il cuore batte più in fretta di quanto dovrebbe e uno strano tremito gli morde il corpo. La polvere depositatasi sulla cornice di un quadro appeso alla parete osserva la scena dall’alto, con muta rassegnazione.
Andrea scuote il capo.
– Vabbè, dai, non volevo metterti di cattivo umore. Oggi che mi offri? L’ora di pranzo è passata da un pezzo e alle tre ho un colloquio e poi un paio di cose da sbrigare a casa mia.
– Calo un po’ di pasta.
***
Luca ringrazia e si congeda dalla vicina di pianerottolo, che gli ha fornito un po’ d’informazioni aggiuntive. Rilegge, con visibile soddisfazione, gli appunti raccolti sul tablet grazie alla pazienza del carabiniere col pizzetto e si prepara a dettare al computer portatile una prima bozza del pezzo. Non vede l’ora di dirlo a Francesca: ha buone speranze di piazzare l’articolo addirittura su qualche testata a distribuzione nazionale, cosa che si tradurrebbe in una salutare boccata d’ossigeno per il bilancio mensile familiare.
Sfiora l’icona che raffigura un microfono stilizzato e inizia a registrare.
“Roberto Fratti, un uomo di 49 anni, si è suicidato impiccandosi al balcone di casa sua a Milano, in via Cerella, zona Corsico. Ieri pomeriggio aveva ricevuto l’ingiunzione di sfratto che gli è stata ritrovata in tasca, in cui gli veniva intimato di lasciare entro trenta giorni il bilocale dove viveva da solo da due anni. Non è chiaro se il suicidio sia avvenuto già ieri sera o stamattina, quando un passante dalla strada ha notato il corpo appeso al balcone e ha subito dato l’allarme. Il suicida era un operaio rimasto per alcuni anni senza lavoro e che da mesi non era più riuscito a pagare l’affitto. Pare che avesse cercato di ottenere prestiti da banche e finanziarie, ma nessuna gli aveva accordato il credito. Quando gli ufficiali giudiziari gli hanno consegnato l’ingiunzione di sfratto era da solo. Evidentemente lo sconforto ha prevalso e lo ha spinto a suicidarsi legandosi al balcone dell’appartamento che avrebbe dovuto lasciare. Gli ufficiali giudiziari hanno riferito che alla consegna dell’ingiunzione, il Fratti non ha fatto scenate né si è mostrato particolarmente turbato, anzi la sua reazione è stata molto contenuta e ha detto che se lo aspettava.”
Luca ripone l’i-Pad nella tasca della giacca. Nel farlo si sporca con lo schermo del tablet.
Rimane per un attimo interdetto osservando i polpastrelli della mano macchiati da alcuni segni neri, scritti in Times New Roman. Infine, mugugnando, con un Kleenex terge ciò che resta delle parole sulla pelle.
cecil ha detto:
racconto che si cala talmente bene nella situazione attuale che anche il lettore si sente mancare l’aria come Roberto, come succede a ognuno di noi, ogni mattina al sentire i notiziari o a leggere i quotidiani.
Non vi è differenza tra finzione narrativa e realtà. Il narrato è storia, resoconto drammatico di ciò che sta schiacciando una società.
il finale e in modo particolare quei segni neri che colano sulle dita ci immergono ulteriormente nell’angoscia proprio perché ci lasciano all’interno del racconto, ci siamo invischiati, intrappolati, senza via di scampo.
le varie parti, staccate dagli asterischi e non legate tra loro da riferimenti temporali o spaziali, diventano simili a tessere di mosaico, scene che si presentano già o potrebbero accadere sotto i nostri occhi in luoghi o momenti differenti, ma che la nostra mente ricompone e riconduce tutte alla stessa causa.
mirimettoingioco ha detto:
Hai ragionissima, Cecil: non vi è differenza tra finzione narrativa e realtà. Forse, addirittura, non c’è mai stata e noi stessi siamo tessere di mosaico di una “narrazione emotiva” ricamata ad arte per ricomporsi nelle nostre menti secondo criteri predefiniti (se non studiati a tavolino).
Grazie del bellissimo commento.
libus ha detto:
Quando la somma degli addendi fa la differenza. Qui gli addendi sono le parti singole asteriscate e il risultato è la logica che ne consegue.
Un testo plumbeo, perfettamente (purtroppo) rappresentativo del nostro tempo, che alterna trama e opinione in un perfetto intreccio che stringe al collo anche il lettore oltre il protagonista.
Un testo limpido con un finale, geniale, “sporco sulle mani”, che non risparmia e non esclude proprio nessuno – della serie “per quanto voi i crediate assolti siete lo stesso coinvolti” come diceva il vecchio Fabrizio.
Complimenti all’AI, alla sua mano che non mi suona nuova affatto…
libus
mirimettoingioco ha detto:
Altro commento molto bello, che arricchisce la lettura sporcandosi le mani. Forse la mia mano non ti suona nuova, fratello Libus, perché è macchiata d’inchiostro e colpevole esattamente come la tua. Grazie di cuore.
ggianluigi ha detto:
Brano puntualissimo, attualissimo, issimo issimo, che curiosamente esce in concomitanza con le odierne roboanti dichiarazioni di Letta dagli Emirati Arabi: “La crisi è finita”.
Dichiarazioni che sarebbero ridicole, se solo ci fosse qualcosa da ridere.
Mi è piaciuta molto la narrazione a episodi, adattissima all’atmosfera plumbea (non trovo aggettivo migliore di quello usato da libus) che pervade tutto il racconto e che a tratti sconfina nell’after day.
E mi è piaciuta malgrado abbia incontrato qualche difficoltà a contestualizzare immediatamente fatti e personaggi nel passaggio da una scena a quella successiva.
Gli episodi ad ogni modo sono ben concatenati tra di loro, e forse la mia difficoltà nel passare attraverso i diversi episodi è dovuta solo al fatto che probabilmente non mi aspettavo una narrazione di questo tipo. Penso tuttavia che un piccolo titolo, anche solo di due parole per ogni singolo episodio (al posto degli asterischi per capirci) avrebbe giovato alla struttura del testo e indirizzato immediatamente il lettore alla sua corretta interpretazione.
Bravo anche per avere interpretato benissimo il tema: “Parole sulla pelle” nel senso di parole sulla nostra pelle, a nostre spese, ovvero le chiacchiere dei politici mentre la gente comune si suicida e muore di fame. Tristissima riedizione di chiacchiere sentite e risentite alla nausea.
Ottima interpretazione di un tema difficile
mirimettoingioco ha detto:
Commento altrettanto “issimo” (mamma mia… c’è ancora qualcuno che legge racconti in prosa, che bello, non credevo!). In effetti, come notato da Ggianluigi, in occasione dell’inaugurazione di mimettoingioco Letta ci ha fatto l’onore di essere presente!! Oddio, non si capisce bene dalle sue dichiarazioni se fosse più “presente” o più “fatto”, ma l’onore delle armi gli va concesso, non fosse che per l’incredibile faccia tosta che continua a mostrare…
Circa la narrazione per episodi slegati, hai ragione, tende a decontestualizzare e a smarrire un po’ il lettore, ma volevo che gli trasmettesse l’ansia di Roberto, quel suo drammatico guardarsi intorno per capire senza riuscire immediatamente a mettere insieme le cose (spaziando da Sara alla finanza internazionale).
ggianluigi ha detto:
…Allora va benissimo. Ho percepito esattamente il suo stesso smarrimento. Quel guardarsi intorno senza riuscire immediatamente a mettere insieme le cose era un effetto voluto, Adesso mi è chiaro. Grazie per la precisazione.
massimolegnani ha detto:
plumbeo! rubo l’aggettivo a libus e ggianluigi, perchè è perfetto, insostituibile, chiave adeguata di lettura. Di piombo è il clima del racconto, di piombo la foto a corredo di una simbologia angosciante (l’uomo schiacciato da enormi caratteri di piombo), di piombo, in polvere, la chiusa surreale che mi rimanda più alla stampa di un giornale che all’artigiano inchiostro.
ml
mirimettoingioco ha detto:
Giusto. E non solo: sempre più spesso mi coglie l’impressione che stiamo tutti diventando insignificanti soldatini di piombo, siamo la *nuova carne da macello* nelle guerre inter/multi-nazionali della finanza. Solo speriamo che non tornino anche gli anni di piombo…
Nella chiusa, un po’ surreale, l’ispirazione in effetti viene dalla vecchia carta stampata del giornale, che spesso ti macchiava le dita mentre lo sfogliavi. Non so, non vorrei apparire retrò né tradizionalista, ma quelli erano tempi in cui, almeno, avevi la “sensazione” di capire. Oggi gli strumenti di comunicazione dell’homo internetticus sono enormemente maggiori, eppure la capacità di capire trovo che si stia atrofizzando (twitterizzando?). I cristalli liquidi ti scivolano addosso senza lasciare traccia, risciacquati in una cacofonia di voci contrastanti che fanno capo a bot e falsi utenti, a task force di neuromarketing al soldo di partiti e multinazionali, a testate giornalistiche gestite da gruppi finanziari, a logiche di mercato che premiano il fast food ideologico della comunicazione: un assordante rumore di fondo orchestrato in modo da sovrastare qualsiasi tentativo di “cantargliele” partendo dalle evidenze.
Ahinoi, altro che polpastrelli macchiati: abbiamo *perso* il segno e non sappiamo più cosa stiamo leggendo…
Che resta da dire? Un grazie di cuore a massimolegnani per gli spunti di riflessione
Jihan ha detto:
premesso che non mi sono smarrita [sarà il sintomo di una preoccupante assuefazione al disorientamento?], al contrario, che la sequenza di episodi mi pare verosimilmente concatenata e che gli asterischi in tal senso mi sembrano addirittura superflui, perfino in assenza di una frasetta che leghi i “quadri”, è evidente che il racconto è condotto con grande padronanza. Si comprende con fluidità l'”assenza” del protagonista, portata dall’AI alle estreme conseguenze, anche se a me pare che l’ipotesi svogliata di acquistare un I-Pod, seppure in offerta, quando da mesi non si può pagare l’affitto, resta un paradosso anche per un dissociato. Rimane sottotraccia – almeno a me – la rabbia, la rivolta che lui non è capace di sentire e che sono così bene incarnate nell’amico, portatore di una visione [il link in calce al testo fa pensare che sia abbracciata dall’autore], una qualsiasi, che anche se si limita all’analisi, possa aprire una qualunque prospettiva in grado perlomeno di costruire alleanze contro la scena orrendamente triste del supermercato. Se può esserti utile, occhio a quel monolocale che nel finale diventa bilocale. Finale di grande effetto, Libus oggi ha con-centrato ogni possibile lettura. Complimenti
Ji
mirimettoingioco ha detto:
Beh, il fatto che non ti sia smarrita un po’ mi sorprende: assai spesso io stesso mi smarrisco come un fesso e resto di gesso con la faccia da pesce lesso preso/perso nelle maglie che tesso.
: )))
Quindi padronanza non so, però ti assicuro che un protagonista c’è ed è Roberto, unico personaggio ad apparire in tutte le sezioni (per quanto sia poca cosa e per quanto poco possa fregargliene essendo morto, mi sento in dovere di riconoscergli almeno il ruolo di eroe assoluto in queste scene di guerra).
E mi piacerebbe sapere quali spunti nella lettura ti spingono a definirlo “dissociato”, perché allora ho sbagliato qualcosa.
: (
Circa il paradosso dell’i-Pad, il fantasma di Roberto mi ha confidato piangendo che si vergognava di dire all’amico di non poterselo permettere. Per questo si era nascosto dietro i tre puntini di sospensione.
Circa la “rabbia” e la “prospettiva”, la visione del mondo di Roberto è molto più concreta e matura di quella di Andrea, che è ancora convinto di poter lottare senza accorgersi di essere messo peggio di un topo in gabbia. La consapevolezza di Roberto è quella di chi sa di non avere vie di fuga perché non può capire. L’infantilismo di Andrea è quello di avere capito e di essere convinto di avere qualche via di fuga.
Visto che più o meno velatamente lo domandi, ti dirò che nello specifico l’autore non abbraccio nessuna delle due visioni, ma, da incallito sperimentatore, si attiene ai fatti: non sono (per fortuna) Roberto, ma sono anche (ahimé) troppo vecchio per essere Andrea. Diciamo che, immaginando una somma algebrica dei due personaggi, l’autore ha capito, ma nel contempo sa di non avere vie di fuga. Epperò, invece di impiccarsi al balcone, procede in lancia e in resta puntando la sua lancia spuntata contro i mulini a vento, novello don chisciotte.
: )
Da ultimo grazie per la segnalazione del monolocale che diventa bilocale, e che però, a ben vedere, diventa tale solo nelle parole del giornalista (eh, si sa che i giornalisti amano ingigantire e romanzare i fatti)
: )))
Cheddire ancora? Grazie per i complimenti e per gli spunti di interazione: senza nulla togliere agli altri commenti, il tuo è stato quello che più mi ha spinto al bisogno di comunicare (cosa preziosissima di questi tempi).
Jihan ha detto:
AI, non ho detto che manca un protagonista, ma che il protagonista vive/subisce/esprime una forma di assenza, debitamente virgolettato. E, scusa se insisto, ma la dissociazione c’è eccome, c’è a partire da quell’assenza, per quel debolissimo contatto con la realtà, almeno per come l’hai tratteggiato. Spunti? la vicenda del pudore per la propria condizione economica, ad esempio, la sveli in questo commento, l’avessi anche solo insinuata, il lettore (questa lettrice, almeno) avrebbe ricevuto qualche altra suggestione (non pretendo mica la certezza) per sentirlo come l’hai pensato tu. Fino alla cronaca del giornalista nulla, a parte quel “calo un po’ di pasta” che in vero può prestarsi a varie interpretazioni, lascia intendere la difficoltà di sopravvivenza di Roberto: la somatizzazione iniziale sembra legarsi alla nostalgia di una donna – Sara, che spunta dal nulla in epilogo a una conversazione il cui tema è la dialettica finanza/economia reale a cui Roberto appare, anzi è, del disinteressato -, la scena del supermercato sembra più un pretesto per denunciare certe forme di razzismo. E che dietro il monolocale che si espande nel bilocale, ci sia, scusami, la velata denuncia di certe inclinazioni di certa stampa, beh, ci vuole la zingara. Intendiamoci, il racconto fa quel che deve fare e ripeto, lo fa bene, perché trasmette efficacemente le giuste emozioni (lo smarrimento, il senso di soffocamento, la claustrofobia della mancanza di vie d’uscita): Roberto è uno dei fantasmi senza voce, senza consistenza che il nostro tempo produce, evanescente, che dà luogo a una storia evanescente, il che non significa che sia sbagliato. Anche perché tu non sei Roberto, come chiarisci giustamente, sei colui/colei che ci racconta Roberto e sceglie di raccontarcelo in un certo modo. Ritorna, nel confronto fra me e te, l’eterna dialettica tra detto e non-detto, tutto qui.
mirimettoingioco ha detto:
(Rispondo all’ultimo commento di Jihan)
Ah, pensavo che intendessi assenza assenza, invece intendevi assenza dissociata. Quindi tutto ok.
Sul dissociato ora sono un po’ meno perplesso. Mi pare di capire che non intendi connotare la parola di implicazioni psichiatriche (il che un po’ mi rincuora), ma che la usi per definire un “debolissimo contatto con la realtà” da parte di Roberto. Se è così per carità, nulla da eccepire perché se così hai letto, così c’è scritto. Per come leggo io, però, c’è *anche* un contatto fortissimo con la realtà, che il protagonista vive e somatizza tanto intensamente sulla propria pelle da lasciarci la pelle. Quindi nessun problema: è evidente che il racconto tratteggia un “contatto con la realtà” che il lettore può leggere come “debole” o “forte”, magari in base allo specchiarsi più o meno intenso delle tragedie della propria vita.
Il “pudore per la propria condizione economica” non ho ritenuto opportuno “insinuarlo” perché è un tratto comune alla maggior parte degli individui che si ritrovano all’improvviso al di sotto della soglia di povertà, ma come sopra non pretendo che tu senta “come l’ho pensato io” né mi piace esplicitare troppo: preferisco lasciare le dovute inferenze alle diverse sensibilità dei lettori nonché al significato retrospettivo gettato dalla cronaca del giornalista sulla scena iniziale, quando Roberto sorride amaramente delle parole del medico che sentenzia “non – ha – niente” (“Il paziente sospira sconsolato: sa che non è vero, qualcosa *ancora* ce l’ha… per esempio, il monolocale in cui vive da solo da due anni.”)
E anche il fatto che “fino alla cronaca del giornalista” la lettura “può prestarsi a varie interpretazioni” suggerisce che in realtà, contrariamente a quanto affermavi nel primo commento, la narrazione slegata per flash che intercala detto e non detto, *almeno* un po’ ti ha “smarrita”, comunicandoti *almeno* un po’ dell’ansia di Roberto.
: )
La scena del supermercato, infine, potrebbe non essere solo un pretesto “per denunciare certe forme di razzismo”, ma anche un momento in cui Roberto tocca con mano la guerra tra poveri, o un bignami rivelatore dei rapporti di forza nelle dinamiche di coppia tra Sara e Roberto, o chissà quante altre cose, ma non importa.
Da ultimo trovo che sia in drammatica sintonia coi nostri tempi il fatto che Roberto, che tanto parla in queste righe, possa essere letto anche come un “fantasma senza voce”, “evanescente”, “che dà luogo ad una storia evanescente”.
Forse più che una “eterna dialettica tra detto e non-detto”, più umanamente, siamo di fronte a diverse sensibilità e a diversi vissuti, che, com’è inevitabile, reagiscono in modo diverso immedesimandosi in uno scritto.
Ciò non toglie, ribadisco, che i tuoi commenti in calce al racconto siano stati per me utilissimi e preziosi e che ti ringrazio davvero di cuore per aver voluto dedicare tempo a questo scambio di idee: capita sempre più di rado che si vogliano condividere pensieri così articolati.
: )
mirimettoingioco ha detto:
(E un ringraziamento anche ai 3 “mi piace” rimasti senza parole…)